La pandemia ha sconvolto l’economia e uno dei settori più colpiti è sicuramente quello dell’automotive. Le conseguenze dei lockdown in tutto il mondo nel 2020 continuano a farsi sentire anche in questi mesi e Case come Tesla e Volkswagen credono che dureranno almeno fino al 2022. La crisi che riguarda il mondo nell’auto non è tanto economica, quanto soprattutto logistica.

In un mondo globalizzato come quello in cui viviamo, è chiaro che i problemi in un mercato si ripercuotono anche negli altri. Vi spieghiamo qual è la situazione attuale e le origini del problema.

 

Il lockdown e la ripresa troppo veloce

La primavera del 2020 ha segnato il momento peggiore nella storia dell’auto a livello mondiale. Domanda e offerta di auto sono drasticamente calate a causa delle incertezze sul futuro, della chiusura dei concessionari e delle serrate generalizzate degli stabilimenti. Per fare un esempio, in quei mesi in Europa si è verificata un –90% nelle immatricolazioni di auto nuove rispetto allo stesso periodo del 2019. In pratica, tutta la filiera dell’automotive si è improvvisamente inchiodata.

Col ritorno alla “normalità” nei vari Paesi, la domanda ha ripreso ad aumentare. Il problema è che la richiesta di nuove auto da parte del pubblico è stata ben più alta di quanto previsto dalle Case. E qui sono iniziati i problemi.

 

Un ingranaggio perfetto

Prima di continuare, però, occorre fare un breve passo indietro. La logica di produzione dei costruttori è del tipo “Just-In-Time“, un metodo introdotto da Toyota dal secondo dopoguerra. In pratica, le Case, per ridurre al massimo gli sprechi e i costi di gestione di grandi magazzini, ordinano solo i componenti che sono necessari per assemblare un numero di auto predefinito e calcolato. Non vi sono quindi molti “pezzi di scorta”: in situazioni normali, l’ingranaggio industriale è perfettamente sincronizzato per lavorare come un orologio svizzero. I problemi iniziano se in questo sistema all’apparenza perfetto si introducono delle variabili impazzite come la pandemia e la volatilità della domanda.

E qui torniamo al post-lockdown. La richiesta di nuove auto è stata superiore alle previsioni delle aspettative delle Case, le quali “sbagliano” ad ordinare i componenti. Tra questi, quelli che mancano sono soprattutto i chip (o semiconduttori) essenziali per diverse funzioni basilari dell’auto come la centralina, la gestione dell’avviamento, degli airbag e dell’elettronica di bordo. A questo si aggiunge anche l’aumento della richiesta per i prodotti elettronici come smartphone e PC, divenuti sempre più essenziali in un mondo basato sul distanziamento sociale e lo smart working.

 

Crisi dei chip e non solo

Come se non bastasse, si sono aggiunte altre crisi, sempre nel Nord America. La tempesta invernale che ha colpito il Sud degli Stati Uniti lo scorso febbraio ha danneggiato gravemente le sedi di alcuni fornitori di componenti e delle raffinerie. Qui viene prodotto un altro elemento essenziale in tutte le auto: l’imbottitura dei sedili.

Il problema principale però rimane il Covid. Nonostante le campagne vaccinali in Stati Uniti e Canada stiano procedendo a ritmo spedito, i contagi non si sono fermati. Ram e Toyota hanno dovuto sospendere le loro attività a causa di alcuni focolai di coronavirus nei propri stabilimenti (nel caso di Ram è stato trovato positivo il 10% dei dipendenti, ovvero 600 persone).

 

Le conseguenze per le concessionarie

E’ chiaro che questo scenario sta producendo forti rallentamenti nella produzione. General Motors, Ford e Stellantis: la crisi non sta risparmiando nessuno. C’è chi come Chevrolet e Ford si è ingegnato per qualche settimana producendo auto senza determinate componenti non essenziali, mentre Ram ha prodotto comunque i pick-up mettendoli in “stand-by” nell’attesa di ricevere i semiconduttori.

Tutto questo come si traduce per l’operatività delle concessionarie? E’ evidente che se cala la produzione, allora cala anche l’offerta. Le dirette conseguenze sono delle disponibilità di auto limitate e a prezzi più alti di quelli normali, in quanto tra i potenziali acquirenti si scatena una sorta di “asta”.

Non resta che sperare che l’emergenza rientri il prima possibile. Un primo barlume di luce è arrivato dall’amministrazione del presidente americano Joe Biden che ha annunciato un piano da 50 miliardi di dollari per supportare lo sviluppo e la ricerca dei semiconduttori nei prossimi mesi.